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venerdì, ottobre 18
mercoledì, aprile 10
TRA STORIA E ATTUALITA'
DAVIDE MARIA TUROLDO E LA CELEBRE FRASE:
Neanche Dio può stare solo.
..........*..........
Turoldo Davide Maria- poeta e pubblicista ( Coderno Sedegliano 1916 - Milano 1992) prete
dell'ordine dei servi di Maria. Partecipò alla resistenza e al quel periodo risalgono le sue rime, poesie che videro la luce nella rivista clandestina L'uomo. Già la sua prima raccolta di versi: Io non ho mani.
Pasqua 2019
Il
terzo giorno, all’alba,
la
pietra rotolata è testimone
e
gli spiriti celesti son garanti :
non
è qui !
sulle
oscure vicende della vita ,
gravida
di angosce,
ora
è fulgore,
e
il miasma della palude infetta
dal
soffio del male avvelenato,
ora
svanisce !
La
donna di Magdala, ansimante,
travolge
i fantasmi della notte :
Maestro
!
Irrisa
ora è la morte:
Sono
vivo !
e
i destini dell’uomo
sono
pettinati dalla pace,
col
germe della gloria !
Salvatore Callari
.........................*..............................
OMAGGIO ALLA BELLEZZA
E' LEI L'ACCIAIO TEMPERATO DI PIOLTELLO
LA LA BELLA SINDACA DI PIOLTELLO IVONNE COSCIOTTI
................t.................
Ricevi questo volo delle rondini Ti parleranno di me.
Io son colui che canta per amore con la cetra e con il cuore.
...*...
MARIA QUARTU: Poetessa
HO LETTO
Sibila il vento questa sera
che sola mi coglie
con l’animo affranto.
Ho letto di bimbi periti
fra le onde del mare,
ho letto di madri e di pianto.
Ho letto di giovani vite
smarrite sui bordi del giorno
che senza ritorno ormai
piangeranno sui sogni violati.
Ho letto di guerre , di stragi,
ho letto dell’”arte” distrutta
violando il glorioso passato.
E chiedo,son esseri umani
quegli uomini assurdi che solo
per oro e poteri infrangono
vita e valori? É vana richiesta
velata da cauta risposta.
Portando il mio pianto lontano
il vento con flebile voce
sussurra “sperian di riavere
al più presto la pace”. ***
GOCCE D'INCHIOSTRO Nel calamaio del tarlato banco intrisi il pennino dell lunga penna.
Il pennino nel calamaio
Nel calamaio del tarlato
banco
intrisi il pennino della
lunga penna.
Distrattamente gocce
d’inchiostro
macchiarono la copia del
mio tema
pronta da consegnare al
mio maestro.
Tempo scaduto ormai, il
dado tratto.
Passano i giorni il
tempo smussa
i drammi.
Arrancando si giunge
all’alta vetta
e par d’avere il cielo
fra le dita
quasi da accarezzar
l’arcobaleno.
Al mare si cavalcano i
marosi
e si spingon le vele
contro vento.
Ma, le strade non son
tutte lastricate
e scivolar si può su
sassi lisi
ed inciampare sotto
arditi pesi.
Se a contrastare il
gioco della vita
si infrappone un giorno
un fatto tristo
nel calamaio del tarlato
banco
avere si può ancor gocce
d’ inchiostro.
***
scorcio di un paese fantasma
Come nubi d’incenso fra navate sale vaga la nebbia sotto il monte.
Si scompiglia fra i coppi di case
abbandonate all’incuria del tempo,
accarezza le chiome degli alberi
che han perso il conteggio
degli anni.
A valle ancora s’ode qualche suono:
voci di chi non ha ceduto mai
al suadente richiamo d’un altrove.
Voci narranti di un ilare passato
di civiltà campestri ormai perdute.
C’è chi ricorda ancora e pare senta
i bambini rincorrersi festosi
e i passi frettolosi del rientro
al desco della sera. E sulla soglia
d’una viva casa rimembra ancora
una donna in attesa.
Maria Quartu è un delle poetesse più sensibili e oso dire unica.
Calogero Di Giuseppe Pioltello (MI) 10 4 2019
Calogero Di Giuseppe Pioltello (MI) 10 4 2019
x
mercoledì, marzo 13
giovedì, settembre 22
MOVIMENTO ARTISTICO LETTERARIO EMILIANI GIUDICI PAOLO
STORIA DELLA LINGUA ITALIANA
--------*-------
FEDERICO II°
L'IMPERATORE
DA FEDERICO II° IN POI: LA SCUOLA SICILIANA
LA CORTE DI FEDERICO
La denominazione di Scuola siciliana,
che possiamo far risalire a Dante (De vulg. eloq. I,
XII, 4), indica un movimento letterario che durante i primi tre quarti del 13°
sec diede luogo a una vasta produzione lirica in volgare, e che si svolse con
centro nella corte diFederico
II re di Sicilia e dei suoi figli, specialmente di Manfredi.
Nominato imperatore nel 1220, Federico creò, in opposizione a quello
della Chiesa, un ambiente culturale laico e raffinato, che aveva nello studio
del latino, lingua delle cancellerie e degli affari internazionali, e
delle scienze naturalistiche i suoi punti di forza. Favorì lo sviluppo di
grandiose istituzioni culturali, come la
scuola di Capua, l’università
di Napoli e la
scuola di medicina di Salerno.
Nella formazione e nella vita dell’Imperatore e della sua corte, la poesia rivestiva un ruolo di prim’ordine; essa era l’espressione di un’élite che doveva disegnare ed esibire il proprio prestigio. Quando Federico giunse in Italia, lo accompagnarono alcuni trovatori e il Re, che già conosceva il tedesco, il francese, il latino e si apprestava a imparare l’arabo, il greco e, di fondamentale importanza per la nascita della Scuola, il volgare siciliano, promosse il sorgere di una produzione poetica ispirata ai modelli provenzali, ma scritta in volgare siciliano. Questo fatto è di capitale importanza, perché segna la nascita di una poesia d’arte in volgare italiano.
Nella formazione e nella vita dell’Imperatore e della sua corte, la poesia rivestiva un ruolo di prim’ordine; essa era l’espressione di un’élite che doveva disegnare ed esibire il proprio prestigio. Quando Federico giunse in Italia, lo accompagnarono alcuni trovatori e il Re, che già conosceva il tedesco, il francese, il latino e si apprestava a imparare l’arabo, il greco e, di fondamentale importanza per la nascita della Scuola, il volgare siciliano, promosse il sorgere di una produzione poetica ispirata ai modelli provenzali, ma scritta in volgare siciliano. Questo fatto è di capitale importanza, perché segna la nascita di una poesia d’arte in volgare italiano.
I POETI DELLA
SCUOLA
Tutti questi poeti sono in primis dei funzionari dello
Stato, notai o giudici o magistrati, e per loro l’attività poetica rappresenta uno svago, un’evasione
dalla realtà. A differenza dei trovatori, non sono poeti professionisti, e la
diversa situazione politico-sociale in cui si trovano a operare ha importanti
ricadute stilistiche e tematiche sulla loro produzione.
Tra i maggiori rappresentanti della Scuola:
Giacomo da Lentini, il Notaro (morto prima del 1250): per la maggior parte dei critici è il più notevole, quasi un ‘caposcuola’. Fu un grande sperimentatore, e molto probabilmente inventò il sonetto.
Pier delle Vigne (1190 circa-1249): segretario di Federico, e personaggio dantesco nel XIII canto dell’Inferno.
Stefano Protonotaro da Messina: compose Pir meu cori alligrari, l’unica canzone rimastaci a conservare tutte le caratteristiche linguistiche del siciliano, senza contaminazioni di altri volgari.
Cielo d’Alcamo: autore di un celebre Contrasto, esemplare di una poesia comica colta e aristocratica.
Tra gli altri poeti che furono figure di spicco della Scuola: Guido delle Colonne, Rinaldo d’Aquino e Jacopo Mostacci. ALTRI DA AGGIUNGERE...
Tra i maggiori rappresentanti della Scuola:
Giacomo da Lentini, il Notaro (morto prima del 1250): per la maggior parte dei critici è il più notevole, quasi un ‘caposcuola’. Fu un grande sperimentatore, e molto probabilmente inventò il sonetto.
Pier delle Vigne (1190 circa-1249): segretario di Federico, e personaggio dantesco nel XIII canto dell’Inferno.
Stefano Protonotaro da Messina: compose Pir meu cori alligrari, l’unica canzone rimastaci a conservare tutte le caratteristiche linguistiche del siciliano, senza contaminazioni di altri volgari.
Cielo d’Alcamo: autore di un celebre Contrasto, esemplare di una poesia comica colta e aristocratica.
Tra gli altri poeti che furono figure di spicco della Scuola: Guido delle Colonne, Rinaldo d’Aquino e Jacopo Mostacci. ALTRI DA AGGIUNGERE...
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PAOLO EMILIANI GIUDICI
EMILIANI GIUDICI, Paolo. - Nacque
il 3 giugno 1812 a Mussomeli (Caltanissetta) da Salvatore Giudice e Antonia
Cinquemani. Di salute cagionevole, non frequentò alcuna scuola ma compi i primi
studi in paese, sotto la guida di don Cataldo Lima prima e sviluppando poi un
programma di studi da autodidatta. Sembra componesse a sedici anni alcune scene
drammatiche e due tragedie (Ilconte Ugolino, Alessandro Di Fere)
che egli stesso provvide a bruciare insieme con i versi che andava componendo.
Fu avviato dalla famiglia, contro la propria volontà, alla vita religiosa,
entrando nel convento di S. Zita dei domenicani di Palermo, dove prese il nome
di fra' Vincenzo. Qui, nella ricca biblioteca, ampliò e approfondi gli studi
imparando anche l'inglese, il francese e lo spagnolo attraverso l'assidua
frequentazione dei classici che vi erano conservati.
Conclusi dunque gli
studi, dal 1838-39 fu addetto all'insegnamento della filosofia nello stesso
convento, svolgendo insieme incarichi di insegnamento privato presso nobili
famiglie palermitane. Contemporaneamente, dal 1836 al '40, sviluppò il suo
interesse per la pittura e l'incisione (ebbe come maestri V. Riolo e S. Lo
Forte) e scrisse anche alcuni articoli per le Effemeridi scientifiche e
letterarie per la Sicilia.
Della sua attività di
pittore e di incisore, che coltivò anche negli anni seguenti, ci rimangono due
quadri conservati nella chiesa di S. Domenico a Palermo e una incisione che
rappresenta il Foscolo durante il soggiorno in Inghilterra.
Sono di questi anni la traduzione (andata perduta) dei versi di Emilia Mogg,
poetessa inglese (alla quale è dedicata la prima edizione della Storia
delle belle lettere) e una poesia di argomento patriottico composta il
14giugno 1839 (riportata in Pitré, p. 62). Ma Più che per la letteratura, molto
blandamente praticata, l'E. si segnalava allora per le sue idee politiche
liberali che indussero la polizia borbonica a sorvegliarlo. Scrivendone molti
anni dopo la biografia, la moglie Ann Alsop sostenne la tesi che l'E.
manifestasse opinioni eretiche di tipo luterano già negli anni dei convento,
rimanendo in quella fede fino alla morte; circostanze tuttavia contraddette
entrambe dai biografi più attendibili e disinteressati.Certo è che l'E. non si
sentiva ben integrato nella comunità conventuale, per ragioni di temperamento e
di convinzioni più politiche che religiose; sicché, avendo presentato nel '40
domanda all'Ordine di secolarizzazione temporanea, nel luglio dell'anno
successivo i superiori gliela concessero in perpetuo; abbandonò quindi il
convento, adottando l'abito di prete secolare che mantenne fino alla partenza
dalla Sicilia. Tentò invano di ottenere l'istituzione nell'università di Napoli
di una cattedra di estetica, facendo conto su una serie di amicizie che aveva
allacciato in quegli anni; tra gli altri, vanno ricordati Enrico e Michele
Amari, Francesco Crispi, Francesco Paolo Perez, che erano tutti più o meno
compromessi politicamente e controllati dalla polizia. Soprattutto, in questo
frangente attirò su di lui il sospetto delle autorità la pensione annua di lire
2.000 che gli aveva assegnato Annibale Emiliani, un livornese esule da molti
anni in Sicilia per le sue idee liberali.
Il 18 apr. 1843 l'E.
riusci finalmente a partire da Palermo dirigendosi a Napoli e di qui a Livorno,
da dove si trasferi, per risiedervi, a Firenze. L'anno successivo fu adottato
legalmente da Annibale Emiliani, che lo nominò anche erede; da quel momento
l'E., che già aveva anni prima cambiato la lettera finale del cognome paterno,
vi premise stabilmente quello del padre adottivo. Nello stesso 1844 pubblicò a
Firenze la Storia delle belle lettere in Italia, iniziata a
scrivere, secondo la dichiarazione dello stesso autore, a ventisette anni, cioè
negli anni palermitani (Prefazione all'ediz. del 1855, p. V).
Come altri eventi della
sua vita, anche questo è stato riportato da alcuni biografi in una versione
inesatta: a spingerlo a scrivere l'opera sarebbe stato, secondo costoro,
Giovanbattista Niccolini che l'E. conobbe al suo arrivo in Toscana e che gli
dimostrò sempre grande stima. Un controllo sulle date, e la considerazione
dell'impegno notevole che la composizione della Storia inevitabilmente
comportava, rendono non credibile questa tesi come ha inoppugnabilmente
dimostrato E. Scolarici, che fissa decisamente agli anni del soggiorno in
Sicilia l'inizio della composizione, senza nulla togliere alla funzione
stimolante che certamente il Niccolini esercitò nei confronti del giovane
studioso.
Il punto di riferimento
costante ed esplicito del metodo e dell'impostazione dell'E. è qui, come sempre
del resto, il pensiero e l'opera di U. Foscolo, del quale soprattutto si
avverte l'influenza nel concepire come "inseparabilmente connesse"
(I, p. 40) la storia letteraria e la storia politica della nazione italiana nel
suo svolgimento secolare da Dante fino al romanticismo. "La fusione della
dottrina politica con la letteraria che noi desiderammo negli storici tutti
della nostra letteratura fu per la prima volta ammirata negli scritti di
Foscolo, che ancora rimangono - non so se inimitabili - certo inimitati in
Italia" (p.54). Dunque Foscolo come modello dichiarato e come ispiratore
insieme della aperta polemica nei confronti dei letterati che si erano
cimentati con le vicende passate della nostra vita letteraria. La Storiainfatti
nella sua prima edizione era preceduta da un Discorsopreliminare che
scomparirà nella seconda edizione (pubblicata a Firenze nel 1855, con il titolo Storia
della letteratura italiana, che alla IV ediz. nel '66 aveva venduto 20.000
copie) in quanto premessa e sarà solo in parte rifuso nel testo; una lunga e
accesa tirata polemica che coinvolge Tiraboschi come Maffei, Crescimbeni e
Quadrio e Ginguené, in un giudizio complessivamente negativo derivante dalla
considerazione che mai in precedenza gli storici della letteratura avevano
trattato lo sviluppo secolare delle lettere italiane secondo una prospettiva
organica e d'insieme, limitandosi piuttosto a compilare aridi annali o
conimentari, ovvero meri elenchi di biografie e di opere valutate sulla base di
criteri pedantemente formalistici e del tutto avulse da un inquadramento
storico-politico. Mancava "alle lettere italiane un'opera più succosa, più
pingue e più breve di mole, un lavoro che ritraendoli a tratti grandiosi non
trascuri i tratti individui di nessuna delle parti costituenti il generale
concepimento, insomma di vera Storia della letteratura" (p. 43). Sulla
scia della svolta impressa da Foscolo alla ricostruzione della etteratura
italiana nei secoli, l'E. individuava nella letteratura delle origini (due-trecentesca)
l'espressione migliore delle ragioni congiunte e intrecciate della fondazione
letteraria e del rigoglio sul terreno politico; cosi come nei tre secoli
successivi ('400-'500-'600) dominerà la decadenza politica e parallelamente
letteraria, dovuta al prevalere assoluto dell'imitazione in arte, ossia
l'abbandono della spontaneità e della originalità, un periodo in cui "la
letteratura cessava di essere una facoltà piena di vita e potentemente motrice
de' popoli e .. il letterato non fu più l'istituzione dei cittadini e il poeta
non fu più il motore degli affetti delle plebi, ma divenne l'addobbo di
corte" (p. 641). Dove si sente forte l'impronta del ragionamento e della
passione che animavano il trattato Del principe e delle lettere di
V. Alfieri.
Non a caso nel giudizio
dell'E. solo con Alfieri e poi con Foscolo, Leopardi, Monti e Niccolini
risorgono le sorti letterarie e civili della vita nazionale, insidiata però
dalle nuove correnti romantiche (le "nuove metafisicherie
d'oltremonte"), il cui difetto principale sta nel loro carattere straniero
e quindi lontano se non addirittura opposto all'"indole italiana". La
scuola romantica italiana viene sostanzialmente ignorata nel quadro storico
dell'E. poiché "la scuola che ha menato cotanto rumore, oggimai dechina, e
in breve sarà ridotta al nulla, e vivrà ne' registri delle cronache e
nell'inclite glorie de' giornali" (p. 1246); ostracismo dunque nei
confronti del romanticismo italiano con la rimarchevole assenza dei nomi di
Manzoni, Berchet, Giusti, ecc., mentre sugli esponenti più illustri del
romanticismo europeo non manca qualche apprezzamento positivo (è il caso di
Schiller, Goethe, Byron, W. Scott, ecc.). Una visione quella dell'E. che già C.
Tenca trovava, pure nel quadro di espliciti e motivati elogi all'impianto
dell'opera, viziata da una ideologia pregiudiziale che appiattiva l'esame delle
cause degli squilibri e dei diseguali andamenti delle nostre vicende
letterarie, ritrovando in modo unilaterale e meccanico nel solo principio
politico la fonte dei fasti come dei guasti della cultura letteraria italiana.
In questo il Tenca accomunava l'E. agli esponenti dell'"antica
scuola", che, "occupati, come sono, a cercare nelle manifestazioni
del concetto letterario le fasi dell'esistenza politica della nazione",
"non sanno vedere altro punto diverso o più elevato, a cui si diriga
l'attività dell'intelligenza": "da ciò l'importanza esagerata
attribuita all'elemento politico, e il subordinare i grandi periodi della
civiltà nazionale alle brevi e mutevoli vicende degli Stati, od alla
preponderanza degli individui e delle fazioni" (p. 296). Dalla medesima
ristrettezza di visuale, dei resto, derivava quel giudizio cosi drasticamente
negativo sul romanticismo italiano che il Tenca non poteva certo accettare né
condividere.
Esaminando i giudizi
formulati dall'E. sulle singole opere, si può osservare che raramente questi
presentano qualche carattere di originalità, ricalcando spesso valutazioni ed
osservazioni rintracciabili negli storici precedenti; più in generale colpisce
la dissonanza tra le dichiarazioni di principio e il concreto andamento del
lavoro sul terreno critico. Nonostante infatti il richiamo costante
all'ispirazione qivile e politica e nonostante la polemica esplicita contro
l'intonazione erudita e formalistica della critica precedente, il prodotto
letterario viene esaminato dall'E. ricorrendo ai più tradizionali strumenti di
ordine linguistico e retorico, senza riuscire a cogliere in concreto quella
compenetrazione di forma espressiva e di contenuto materiale che pure lui
stesso dichiara ripetute volte come caratteristica del metodo moderno da
Foscolo in poi. In questo senso sarà inutile cercare nelle singole analisi
delle opere e degli autori i modi specifici della elaborazione letteraria che
distinguono gli uni dagli altri; gli attributi rilevati dalla sensibilità
dell'E. si dispongono attorno alle varietà espressive della lingua, intese nel
senso più superficiale ed esteriore, in modo che, com'è stato puntualmente
sottolineato (Russi, p. 406), autori distanti come il trecentesco ser Giovanni
e Giacomo Leopardi risultano, in ultima analisi, definiti da capacità analoghe
di eleganza, splendore, lucidità, efficacia, attributi tutti della lingua delle
loro opere, intesa nel suo senso più formale.
Di contro alla sostanziale
fragilità dell'indole critico-letteraria dell'E. acquista ancora maggior peso
la sua capacità storico-politica che impronta in modo deciso lo svolgersi della
vicenda nazionale, segnata in modo netto dalla sotterranea aspirazione ideale
alla libertà, nei periodi in cui si manifesti, ovvero dall'immagine della
oppressione e dell'asservimento degli scrittori. Una concezione evidentemente
sulla linea di quel ghibellinismo che nel primo periodo risorgimentale
caratterizzò una schiera ampia di intellettuali di ispirazione laica e
liberale, soprattutto in Toscana.
In conclusione la Storia dell'E.
rappresenta il primo tentativo di dar vita a una organica ricostruzione della
letteratura italiana nel riferimento alle concezioni storiografiche moderne che
imponevano l'individuazione di un forte connettivo ideale che rendesse conto di
una storia appunto e non di una somma di elementi più a meno omogenei.
Esattamente su questa linea si collocherà, pochi anni dopo, la storia
letteraria di F. De Sanctis che però seppe, al contrario dell'E., concretare la
solida architettura dell'edificio storico con la puntuale, profonda e
sensibilissima analisi del fatto poetico e letterario riconosciuto nella sua
intrinseca indole.
La pubblicazione della
Storia procurò all'E. elogi e considerazione soprattutto in quell'ambiente
liberale toscano che faceva capo a G. Capponi, N. Tommaseo, G. Rosini, F.D.
Guerrazzi, oltre lo stesso Niccolini; stabili cosi una rete di rapporti che
passava tuttavia molto più per la stima reciproca sul piano degli studi e
dell'opinione ideologica che per un concreto impegno politico, al quale del
resto l'E. non fu mai interessato. Furono proprio alcuni di questi amici ed
estimatori che nel febbraio 1849, durante il governo provvisorio della Toscana,
gli fecero attribuire l'incarico dell'insegnamento di eloquenza italiana presso
l'università di Pisa, in qualità di supplente di G. Rosini. Fu un incarico che
l'E. tenne pochissimo tempo, dato che il 4 maggio dello stesso anno volle
dimettersi, essendo caduto il governo provvisorio ed essendo di conseguenza
tornato il granduca. In quel ridottissimo scorcio di tempo aveva tuttavia già
attirato le accuse delle autorità ecclesiastiche che gli imputavano la colpa di
"predicare il protestantesimo" (De Castro, p. 205), un rilievo, come
si vede, ricorrente e che si spiega probabilmente con l'ispirazione antiguelfa
e antipapale che l'E. mantenne costante per tutta la vita sul terreno
specificamente politico. Nel decennio successivo si concentrò esclusivamente
sui suoi studi, ai margini delle vicende politiche del movimento
indipendentistico nazionale. Nel giugno 1859, incitato da V. Salvagnoli,
cominciò a collaborare ad alcuni giornali inglesi per illustrare al pubblico
della nazione amica i problemi nazionali. Nello stesso anno fu nominato
segretario dell'Accademia fiorentina di belle arti e poco dopo professore di
estetica nella stessa Accademia, ruolo che abbandonò nel novembre 1863, poiché
come membro di una commissione ministeriale per la riforma degli studi nell'Accademia
aveva formulato conclusioni che non furono accolte dalle autorità. Nella
commissione per il restauro della facciata di S. Croce istituita nel '59 ebbe
l'incarico di segretario; nel '61 fu nominato membro della commissione reale
per giudicare le opere di scultura presentate all'Esposizione italiana.
Nel nuovo Stato unitario
decise di impegnarsi attivamente nella politica; presentatosi candidato nelle
elezioni del 1865, per il collegio siciliano di Serradifalco, fu battuto dal
rivale dello schieramento clericale; ma nella successiva tornata elettorale
(marzo 1867), presentatosi nello stesso collegio, ottenne la vittoria e in
Parlamento andò a sedere tra i seguaci di Rattazzi, al governo prima e
all'opposizione in seguito. Scaduto il mandato, non ottenne la designazione per
rinnovare la candidatura ('70).
Sono indicative del suo
tempo le parole con cui se ne lamentò con il fratello: "E se io vorrei [sic!]
essere deputato non avrei che a dire una parola d'accettazione a qualcuno dei
cinquanta collegi elettorali delle elezioni rispettive. Ma io per ora non
voglio saper nulla; e senza la deputazione sono sempre lo stesso cioè uno dei
più grandi scrittori del tempo (senza superbia)" (lettera al fratello
Giuseppe, 23 dic. 1870, in Ghidetti, 1970, p. 29).
Nel '67 fu nominato
commendatore. In seguito al matrimonio con una ricca proprietaria terriera
inglese, Ann Alsop, risiedette sempre più a lungo in Inghilterra, pur
mantenendo il domicilio legale a Firenze. In questi anni realizzò molti viaggi
visitando Olanda, Belgio, Germania, Austria, Spagna.
Mori il 14 ag. 1872 a
Hastings, in Inghilterra, e fu seppellito a Ore, nei pressi di Hastings.
Come si è detto, la fase
più intensa degli studi storici e letterari si colloca nel quindicennio che va
dalla pubblicazione della Storia alla fine degli anni
Cinquanta. È del 1845 Iquattro poeti italiani (Firenze; prima
ristampa Venezia '47 e molte successive riedizioni), ovvero Dante, Petrarca,
Ariosto e Tasso. Seguono: Florilegio dei lirici più insigni d'Italia (ibid.
1846), che comprende una scelta di composizioni annotate e commentate da Ciullo
d'Alcamo a T. Tasso; Continuazione della Storia d'Italia di Giuseppe
Borghi (ibid. 1847); la traduzione dall'inglese di La
narrazione delle fortune e della cessione di Parga di U. Foscolo
(ibid. 1850, vol. V delle Opere); la traduzione dall'inglese della Filosofia
politica di H. Brougham (ibid. 1850-51), un lavoro in verità dovuto
quasi interamente a R. Busacca, rimanendo merito precipuo dell'E. la promozione
della stampa dell'opera; Compendio della letteratura italiana (ibid.
1851; poi riveduto da C. Teoli, pseudonimo di E. Camerini, Milano 1864), una
versione della Storia rivolta alle scuole; Storia
politica dei Municipi italiani(ibid. 1851, 2 voll., poi ampliata in 3 voll.
E pubblicata con il titolo Storia dei Comuni italiani, ibid.
1864-66), dove tornava pienamente dispiegata la motivazione profonda della
spinta allo studio del passato storico in quanto stimolo alla riflessione sul
presente politico: lontana dall'E. ogni intenzione di obiettività, veniva
ribadita qui una concezione della storia fortemente impregnata di motivi
ideologici, civili e politici. La Storia dei Municipi, condotta
sulle fonti e i documenti (alcuni dei quali riportati in appendice), conferma
il duplice impegno dell'E. come studioso, nell'erudizione da un lato e nella
passione civile dall'altro. Da un'analoga intenzione mediatamente politica
nasceva la traduzione dall'inglese della Storia d'Inghilterra di
T. B. Macaulay (ibid. 1852-1853), un testo fondamentale del pensiero liberale
che infatti suscitò, alla comparsa in Italia, le reazioni degli ambienti
conservatori e reazionari. Un'attività come si vede intensissima alla quale va
aggiunta la cura delle edizioni della Divina Commedia di Dante
Alighieri (ibid. 1846), di Il secreto e le rime di F. Petrarca
(ibid. 1847), delle Prose di G. V. Gravina (ibid. 1857), del Decameron di
G. Boccaccio (ibid. 1875), dei Drammi scelti di P. Metastasio
(Milano s.d.), nonché Cenni sopra Alessandro Tassoni, in Ricordi
di famiglia per le nozze di Eugenio Michelozzi con la marchesa Eleonora Tassoni (ibid.
1854, pp. 75-94) e la Storia del teatro in Italia(ibid. 1860,
ristampato nel '69), un'operazione ambiziosa, dato che l'uffico precedente era
una Storia di P. Napoli Signorelli, che si arrestò tuttavia al
primo volume (Poliziano), dove erano ripresi molti dati già utilizzati nella Storia
della letteratura.
A questo ampio impegno
editorale vanno affiancate le collaborazioni ai periodici italiani (La
Perseveranza, Il Crepuscolo, oltre le Effemeridi già
citate), francesi (Gazette des beauxarts, 1858-61), e inglesi (Tuscan
Athenaeum, stampato a Firenze, Contemporary Review e vari
quotidiani).
Risulta solo
apparentemente ai margini di questo tipo di produzione il romanzo dal titolo Beppe
Arpia che l'E. pubblicò a Firenze nel 1851, come sostiene E. Ghidetti
nell'introduzione alla ristampa (Bologna 1970, p. 8), che contesta la data
1852universalmente accreditata, attribuendola, in via di ipotesi, a una seconda
stampa del libro immediatamente successiva alla prima. Nel romanzo è presente
ed anzi esibita la medesima attitudine moralistica e polemica che anima le
opere storiche e storico-letterarie; già nel Dialogo premesso
alla narrazione sono fissate le ragioni dell'E. nel riferimento alla sua
attività narrativa e critica, come nel confronto polemico con la situazione
letteraria contemporanea in Italia. Si fronteggiano figure-simbolo del passato
come l'Accademico, del presente respinto come l'Anglomano e il Gallomano che
raccolgono l'avversione dell'E. nei confronti della letteratura romantica, qui
ribadita in chiusa di romanzo; e ancora l'Ipocrita, l'Editore, il Critico,
ecc., e finalmente l'Autore insieme con lo Strozzino e lo Strozzato. Perché il
Beppe Arpia protagonista del romanzo è appunto uno strozzino modellato
sull'immagine stereotipata dell'avidità e della sordidezza tipica della sua
attività, a cui qui fa da contraltare l'amore per il figlio, lo stupido
Babbiolino. La storia consiste nei traffici che intercorrono tra lo strozzino e
una corrotta marchesa per arrivare a concludere un matrimonio che procurerà
vantaggi ad entrambi, attraverso però il sacrificio della bella e virtuosa
figlia della marchesa, Amalia (che ama riamata il valoroso conte Cavalcanti,
destinato a morire da eroe nella battaglia di Curtatone), costretta a sposare
il deficiente figlio dello strozzino. I personaggi e le situazioni richiamano i
tratti tipici del romanzo popolare e d'appendice (era recente il successo dei Misteri
di Parigi di E. Sue), con i contrasti netti e privi di sfumature, i
colpi di scena, le peripezie, la caratterizzazione dei personaggi di contorno,
la ripresa di motivi canonici, come la fanciulla perseguitata, la prepotenza
dei vizioso, ecc. Ma l'interesse principale dell'E. è trasparentemente per la
pittura d'ambiente, per la denuncia, tinta di moralismo, di figure e viluppi di
eventi segnati da una forte carica di negatività; sicché il romanzo, a cui la
critica non ha riconosciuto alcun effettivo valore estetico e letterario,
presenta tuttavia qualche interesse, se si colloca nel quadro dei tentativi di
rinnovamento del genere dopo la grande stagione manzoniana, nella direzione di
quel romanzo sociale che qualche anno dopo si svilupperà anche in Italia con
esiti più felici. In questo senso anche l'adozione del fiorentino come trama
linguistica non si richiama - ha notato la critica - alla lezione manzoniana,
ma piuttosto riprende e conferma la linea classicistica e antiromantica
teorizzata e praticata, per esempio, da G. B. Niccolini. La volontà dell'E. di
aderenza al "vero" esplicitata nell'introduzione, come i ripetuti
strali lanciati contro la soffocante atmosfera imposta dal Granducato
leopoldino, spinsero i primi lettori del romanzo a ravvisare nei personaggi e
nelle situazioni della finzione allusioni a persone e fatti della cronaca
fiorentina contemporanea; lo scandalo fu grande e l'autore fu costretto a
ritirare il romanzo e a non ristamparlo più.
Va aggiunto all'elenco
delle opere, per completezza d'informazione, che l'E. si attribui in varie
occasioni la paternità di lavori di cui non esiste traccia, come tra gli altri
una Storia di Michelangelo e dei suoi tempi, Essays on
Sicilian painters,Spagna, Olanda; un tratto questo che
contribuisce alla definizione della figura dell'E., una figura significativa e
rappresentativa di una certa nostra cultura risorgimentale, per quanto riesce a
ben rappresentare la commistione di allargamento all'Europa e radicamento insieme
nella provincia, ma ancora più la miscela di forti componenti innovative e
moderne con la persistenza di attitudini e di atteggiamenti mentali legati al
passato.
Fonti e Bibl.: C. Tenca,
A proposito di una Storia della letteratura italiana, in Il
Crepuscolo, III (1852), 5, pp. 69-72; 6, pp. 85-88; 8, pp. 120-123; 10, pp.
149-153; 12, pp. 181-185 (ora in Id. Saggi critici, a cura di G.
Berardi, Firenze 1969, pp. 289-327); V. De Castro, Della vita e
dell'opera di P.E., in Riv. contemp. naz. ital.,
XIV (1866), t. XLVII, pp. 185-215; G. Pitrè, inNuovi profili biogr. di
contemporanei italiani, Palermo 1868, pp. 61-69; A. Alsop, Brief
memoir of P. E. by his widow, Hastings 1873; A.
Aleardi, Due parole di commemor. sopra P. E.,
Firenze 1873; M. Villareale, Della vita e delle opere di P.E.,
Palermo 1873; Biografia del comm. P. E.,
Firenze 1874 (trad. inglese, Memoir of the comm. P. E.,
Hastings 1874); E. Camerini, in Nuoviprofili letterari, II, Milano
1875, pp. 226 ss.; C. Collodi, in Divagazioni, Firenze 1892, pp.
219 ss.; F. Guardione, Scritti, II, Palermo 1897, pp. 294-308; Onoranze
a P. E. nella R. Università di Palermo per
la solenne dedicazione di un busto il 7 giugno 1903, Palermo 1903;
E. Scolarici, P. E. (con un'appendice di 160 lettere
inedite), Palermo 1916; G. A. Borgese, in Storia della critica
romantica in Italia, Milano 1920 pp. 312-330; A. Russi, P. E. e
la storia letteraria dell'età romantica, in Convivium, XI
(1939), 4, pp. 402-409 (ora in Id., Poesia e realtà, Firenze 1962,
pp. 239-252); G. Getto, Storia delle storie letterarie, Milano
1946, pp. 178-221; B. Croce, in Storia della storiografia ital. nel
sec.XIX, I, Bari 1947, pp. 267 ss., 276 s.; G. Getto, La
storia letteraria, in Problemi ed orientamenti critici, II,
Milano 1948, pp. 24-28; G. Mazzoni, L'Ottocento, II, Milano 1949,
p. 1128; C. Cappuccio, Critici dell'età romantica, Torino 1961, ad
Ind.; E. Ghidetti, Un romanzo dimenticato di P. E.,
in La Rass. della letterat. ital., LXVIII
(1964), 2-3, pp. 410-418; G. Orioli, Teorici e critici romantici,
in Storia dellaletter. ital. (Garzanti), a cura di E.
Cecchi-N. Sapegno, VII, Milano 1969, p. 499; E. Ghidetti,Introd. a P.
Emiliani Giudici, Beppe Arpia, Bologna 1970, pp. 5-29; N. Tedesco, Strutture
conoscitive e invenzioni narrative, Palermo 1972, pp. 290-295; M. Dillon
Wanke, Per una storia del romanzo: da "Beppe
Arpia" alle soluzioni rosa del Farina, in Studi di
filologia e letteratura, 1975, n. 2-3, pp. 355.389.
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http://www.treccani.it/scuola/lezioni/lingua_e_letteratura/la_scuola_siciliana.html
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http://www.treccani.it/scuola/lezioni/lingua_e_letteratura/la_scuola_siciliana.html
A CORTE DI
FEDERICO II
La denominazione di Scuola siciliana,
che possiamo far risalire a Dante (De vulg. eloq. I,
XII, 4), indica un movimento letterario che durante i primi tre quarti del 13°
sec diede luogo a una vasta produzione lirica in volgare, e che si svolse con
centro nella corte diFederico
II re di Sicilia e dei suoi figli, specialmente di Manfredi.
Nominato imperatore nel 1220, Federico creò, in opposizione a quello
della Chiesa, un ambiente culturale laico e raffinato, che aveva nello studio
del latino, lingua delle cancellerie e degli affari internazionali, e
delle scienze naturalistiche i suoi punti di forza. Favorì lo sviluppo di
grandiose istituzioni culturali, come la
scuola di Capua, l’università
di Napoli e la
scuola di medicina di Salerno.
Nella formazione e nella vita dell’Imperatore e della sua corte, la
poesia rivestiva un ruolo di prim’ordine; essa era l’espressione di
un’élite che doveva disegnare ed esibire il proprio prestigio. Quando
Federico giunse in Italia, lo accompagnarono alcuni trovatori e il Re, che già
conosceva il tedesco, il francese, il latino e si apprestava a imparare
l’arabo, il greco e, di fondamentale importanza per la nascita della Scuola, il
volgare siciliano, promosse il sorgere di una produzione poetica
ispirata ai modelli provenzali, ma scritta in volgare siciliano. Questo
fatto è di capitale importanza, perché segna la nascita di una poesia
d’arte in volgare italiano.
UNA KOINÈ
STILISTICA E TEMATICA
La nuova figura del poeta-funzionario si trova ad agire nello spazio
plasmato dal potere assoluto dell’Imperatore.
Non c’è spazio per la variazione tematica propria della lirica
trobadorica; nessuna discesa in campo politico o morale è
lecita ai Siciliani. Possiamo individuare tre mutamenti fondamentali,
che ci permettono di cogliere le peculiarità della letteratura dei funzionari
di Federico.
1. La realtà della corte, non più quella del feudo, spiega perché la poesia della Scuola si concentri più sull’amore in quanto tale, che sul rapporto di
vassallaggio fra amante e donna amata.
2. La poesia si allontana dalla cronaca, e si fa più astratta,
più intellettuale. I tòpoi trobadorici,
che comunque permangono, subiscono un processo di ulteriore
stilizzazione.
3. Il fulcro lirico è costituito da una meditazione sulla natura e sugli effetti dell’amore.
Ciò comporta uno spostamento verso l’interiorità del poeta,
e una tendenza ad analizzare l’esperienza d’amore intellettualizzata,
sotto la lente delle scienze naturalistiche, con accostamenti al
mondo animale e vegetale.
LINGUA E STILE
A questo processo di rarefazione tematica, corrisponde una speculare cristallizzazione stilistica. Innanzitutto, è utile
ricordare che la scrittura e spesso anche la fruizione della poesia si separano
dalla composizione musicale, generando una letteratura destinata in primo luogo
alla lettura. La lingua subisce un accurato processo di selezione lessicale: forme colte e ricercate,
ricalcate sul latino e sul linguaggio dei trovatori, si fondono con il siciliano, epurato dagli elementi più
bassi, componendo il ricco mosaico di un volgare illustre. Caratteristico del
repertorio espressivo dei Siciliani è l’utilizzo di allotropi e dittologie sinonimiche. Eleganza retorica,raffinatezza compositiva e
una rigorosa selezione metrica, condotta sui
modelli provenzali, creano il canone per tutta la letteratura italiana
successiva. Le strutture metriche più importanti sono:
La canzone: lo schema metrico
fondamentale della Scuola. È la forma più nobile. Composta di endecasillabi e
settenari.
La canzonetta: dotata di un ritmo
più semplice, composta di settenari, doppi settenari, ma anche ottonari e
novenari, è adatta anche a temi più leggeri. La sua struttura è dialogica e
narrativa.
Il sonetto: la forma italiana
per eccellenza. L’ideazione del sonetto è attribuita a Giacomo da Lentini.
L’EREDITÀ DELLA
SCUOLA SICILIANA
Grazie ai contatti tra i funzionari di Federico e
i ghibellini dei vari comuni
italiani – la maggior parte dei quali formatasi all’Università di Bologna – la poesia
siciliana conquistò in breve tempo la Penisola, e i suoi semi trovarono le
terre più feconde in Toscana. Qui, per
l’azione di poeti e copisti, la neonata lingua
letteraria mutò le proprie caratteristiche, amalgamandosi con la patina
toscaneggiante dei nuovi trascrittori-ricreatori. Tra questi poeti, che vengono
eloquentemente definiti Siculo-toscani, i
più importanti furono Bonagiunta Orbicciani,
il primo a compiere l’innesto, e Guittone d’Arezzo (1235-1294),
che diffuse e innovò la poesia siciliana.
L’azione dei Siculo-toscani, che si sentivano in qualche modo i legittimi eredi
della Scuola, come Dante avrebbe affermato apertamente nel passo già citato
del De vulgari eloquentia, fu cruciale per lo sviluppo
della nostra tradizione letteraria, ma intaccò la purezza della lingua
dei Siciliani, di cui ci resta una traccia solo nella canzone Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro (v.
sopra). La diversa situazione geopolitica influì anche sui temi e sullo stile,
introducendo componimenti politici e, sul versante metrico, l’utilizzo di altre
forme come la ballata.
Trasformandosi, la lingua e la poetica della Scuola siciliana giunsero nelle
mani degli Stilnovisti e, soprattutto,
di Dante, che ne avrebbero fatto la base su cui continuare
la scultura della tradizione letteraria nazionale.
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I GRANDISSIMI DELLA LETTERATURA ITALIANA
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- E' UN DOVERE RICORDARLI. Il 30 agosto 2016 alle ore 17,30 preso la Banca di Credito Cooperativo San Giuseppe di Mussomeli è stato presentato al pubblico il MOVIMENTO ARTISTICO LETTERARIO PAOLO EMILIANI GIUDICI, già operante in internet con il titolo STORIA DELLA LINGUA ITALIANA, nella pagina centrale, (questa) ove si parlava, e si parla, di Federico II° e la di Lui sede nella quale si riunirono i più grandi Poeti siciliani di quel periodo storico. La sede periodica estiva del Movimento si trova nell’umile casa dell’ideatore Calogero Di Giuseppe, fondatore col Pittore Giuseppe Petruzzella (dettoPino), Shifano Enza e Giuseppe Messina del MOVEMENTO ARTISTICO LETTERARIO dedicato all’illustrissimo Paolo Emiliani Giudici Nato a Mussomeli. I sostenitori e iscritti al Movimento sono le personalità più importanti, e noti scrittori dell’area artistica e letteraria di Mussomeli. Callari don Salvatore, Cubo Giacomo, Ferranti Laura Cumbo, Frangiamore Calogero, (Sostenitore"),Maida Franco, Maniscalco don Antonio, Mingoia Graziella, Mingoia Michele (sostenitore), Spoto Angelo, Peppe Piccica Elenco Provvisorio: incompleto
- PAOLO EMILIANI GIUDICI
- Leggi su
http://www.treccani.it/enciclopedia/paolo-emiliani-giudici_(Dizionario-Biografico)/
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FRANCESCO DE SANTIS
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Il Movimento si propone come stimolatore delle belle Arti e della cultura: quella che rende le Persone di buona volontà più civili e solerti verso gli altri esseri viventi...compresi gli animali.Ci rivolgiamo in special modo ai giovani: quelli che "sprecano" la loro gioventù per cose futili, destinati a rendersi la vita amara sino al pentimento (certe volete troppo tardi).
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